Laurea

  • Posted on: October 19, 2013
  • By:

7. Mi sono laureato nel 1965 in Storia dell’Arte moderna con Rodolfo Pallucchini all’Università di Padova (alla Facoltà di Lettere e Filosofia), ma altrettanto importante è stata la lezione di altri maestri come Sergio Bettini, Vittore Branca, Gianfranco Folena, Alfonso Traina (uno dei più importanti allievi di Pietro Ferrarino, assieme a Marino Barchiesi, che era stato il mio professore di latino e greco al liceo classico). Fu Bettini a farci conoscere, nei primi anni sessanta, Lacan, Foucault, Merleau-Ponty, Levi-Strauss, Wittgenstein. Un sapere che si trasmetteva oralmente (solo alla fine fissato in corposi libri-dispense) e che quindi obbligava lo studente a seguire la voce lontana del maestro, il volto illuminato dal basso dalla lampada del leggio, al centro dell’emiciclo immerso nel buio punteggiato dalle piccole luci sui banchi. L’aula di storia dell’arte del Liviano (dove avrei insegnato anch’io, supplendo Apollonio). Un dispensare per rapporto diretto, che mi ha fatto allora decidere di pubblicare fondamentalmente in dispense e di trasmettere direttamente il più possibile.
Nel frattempo compio, per pochi anni, l’esperienza di insegnare anche in una scuola privata per geometri italiano e storia, in cui ero abilitato. Di quella esperienza bella e terribile porto ancora indelebili ferite. Innanzitutto il mio licenziamento, che fu politico, e, dal loro punto di vista, giustificato. Avevo condotto gli studenti, senza nulla togliere alle ore di lezione, a fare delle inchieste sul territorio alla ricerca di una nuova “geometria” dei valori: l’escavazione distruttiva dei colli Berici, l’inquinamento provocato da Marghera, la condizione dei bambini in brefotrofio, un’inchiesta documentata fotograficamente sull’orrore dello stile “geometra” che aveva distrutto gran parte del Veneto. Molti di quegli studenti migliori, tra cui Leonardo Sartorio, Franco Benato, Giorgio Fattore, Flavio Giotto, sono diventati degli amici. Alcuni di essi ancora mi frequentano.
Lo stesso anno della laurea ottengo l’incarico di Assistente (in effetti ero un assistente borsista, a cui competevano anche e soprattutto regolari lezioni e, in seguito, corsi completi), prima alla Cattedra di Storia dell’Arte Contemporanea di Dino Formaggio e quindi a quella di Umbro Apollonio. Posseggo ancora gli appunti della prolusione di Formaggio e quelli della sua prima lezione. Quando ci insegnò, una volta per sempre, la differenza tra la cosa e la Cosa: avevo un sasso – ricordava – raccolto accanto al torrente, presso cui avevo fatto all’amore, un sasso che avevo posto su un tavolino, sopra dei fogli, un sasso che qualcuno getterà via, perché nient’altro gli sembrava se non un fermacarte (era, invece, un “ferma pensiero”).
Negli anni a seguire, fino al 1973, ho assistito Umbro Apollonio. L’amico, colui che mi introduce nel mondo internazionale dell’arte, che mi fa scrivere su “Art International” e su “Opus International”, che mi incita a pubblicare, che mi affida incarichi, come quello di addetto culturale nelle Biennali d’arte da lui dirette, e che mi fa da guida quotidiana nel labirinto della splendida biblioteca dell’ASAC, ridotto oggi ad un pallido fantasma di ciò che era. Nel frattempo avevo seguito sterilmente i due anni di Perfezionamento in Storia dell’Arte contemporanea. Ho, sempre negli stessi anni, tenuto corsi di Storia dell’Arte Contemporanea per perfezionandi americani dell’Università di Santa Barbara alla Californian University e due anni di corso sulle “estetiche della dittatura” alla Facoltà di Scienze Politiche di Padova. Seguo le tesi di perfezionamento in Storia dell’arte contemporanea: Gianni Laroni, Sergio Scarpa Falce, Maria Grazia Ortolan, Luisa Cristani, Maria Obrist, Francamaria Pullia, Cristina Stevan, Enrichetta Toscani, Maria Maddalena Gualandi… i migliori. E quelli, soprattutto, che ricordo e di cui conservo i documenti.