L’ERA DELLA TECNICA- l’uomo, la cultura di massa, la TV, l’arte….

Ciò che è veramente inquietante non è che il mondo si trasformi in un completo dominio della tecnica.

Di gran lunga più inquietante è che l’uomo non è affatto preparato a questo radicale mutamento del mondo.

Di gran lunga più inquietante è che non siamo ancora capaci di raggiungere, attraverso un pensiero meditante, un confronto adeguato con ciò che sta realmente emergendo nella nostra epoca.

M. HEIDEGGER, L’abbandono (1959), p.36

Ancora una volta mi diverto a fare “bastian contrario”, e non riuscendo a scegliere uno solo tra tutti gli interrogativi che mi ha suscitato la questione, intrigandomi più che mai, comincio col mettere un po’ di carne al fuoco, citando alcuni testi che – spero – infiammeranno gli animi così come hanno fatto con me. I pezzi che seguiranno sono tratti da un illuminante opera di Umberto Galimberti: Psiche e Techne, che tratta di quella che definisce L’età della tecnica, aprendoci gli occhi sul fatto che proprio in quest’epoca “l’orizzonte di riferimento a partire dal quale l’uomo può pervenire a una comprensione di se, è radicalmente mutato”, e denunciando “il naufragio dell’identità individuale nella pubblicità dell’immagine”. (chi di voi fosse interessato a leggere l’introduzione del volume, già di per se assolutamente preziosa, si rivolga pure a me)

La trasformazione della tecnica da “mezzo” in “fine”

…“Finché la strumentazione tecnica disponibile era appena sufficiente per per raggiungere quei fini in cui si esprimeva la soddisfazione degli umani bisogni, la tecnica era un semplice mezzo il cui significato era interamente assorbito dal fine, ma quando la tecnica aumenta quantitativamente al punto da ren­dersi disponibile per la realizzazione di qualsiasi fine, allora mu­ta qualitativamente lo scenario, perché non è più il fine a condi­zionare la rappresentazione, la ricerca, l’acquisizione dei mezzi tecnici, ma sarà la cresciuta disponibilità dei mezzi tecnici a di-spiegare il ventaglio di qualsivoglia fine che per loro tramite può essere raggiunto. Così la tecnica da mezzo diventa fine, non per­ché la tecnica si proponga qualcosa, ma perché tutti gli scopi e i fini che gli uomini si propongono non si lasciano raggiungere se non attraverso la mediazione tecnica.

[…] E. Severino osserva che se il mezzo tecnico è la condizione necessaria per realizzare qualsiasi fine che non può esser raggiunto prescindendo dal mezzo tecnico, il conseguimento del mezzo diventa il vero fine che tutto subordina a sé. Ciò com­porta il crollo di numerosi impianti categoriali con cui l’uomo aveva finora definito se stesso e la sua collocazione nel mondo.

L’uomo e la tecnica

“l’uomo è originariamente votato alla tecnica per compensare l’insufficienza dei propri organi, per intensificare la capacità che possiede e per agevolare il lavoro della costruzione del mondo da cui la sua esistenza dipende”

“siccome la tecnica è ormai la forma del mondo, per l’individuo non c’è altro modo dì essere al mondo se non come funzionario della tecnica”. Cioè se la tecnica da mezzo diventa fine, l’uomo diventa il mezzo attraverso cui la tecnica non persegue altro che la sua auto-riproduzione…..PAURA!!!!!!

La cultura di massa

La disarticolazione tra “pubblico e pri­vato”, tra “sociale” e “individuale” operata dalla razionalità tecni­ca, modifica anche il concetto tradizionale di “massa”, introdu­cendo quella variante che è la sua atomizzazione e disarticolazio­ne in singolarità individuali che, foggiate da prodotti di massa, consumi di massa, informazioni di massa, rendono obsoleto il concetto di massa come concentrazione di molti, e attuale quello di massificazione come qualità di milioni di singoli, ciascuno dei quali produce, consuma, riceve le stesse cose di tutti, ma in mo­do solistico. Viene così consegnata a ciascuno la propria massifi­cazione, ma con l’illusione della privatezza e l’apparente ricono­scimento della propria individualità, in modo che nessuno sia più in grado di percepire un “esterno” rispetto a un interno, perché ciò che ciascuno incontra in pubblico è esattamente ciò di cui è stato rifornito in privato. Nascono da qui quei processi di deindividuazione e deprivatizzazione che sono alla base delle condotte di massa tipiche delle società omologate e conformiste.

I mezzi di comunicazione

All’omologazione sociale contri­buiscono in modo esponenziale i mezzi di comunicazione che la tecnica ha potenziato modificando il nostro modo di fare espe­rienza: non più in contatto con il mondo, ma con la rappresen­tazione mediatica del mondo che rende vicino il lontano, pre­sente l’assente, disponibile quello che altrimenti sarebbe indi­sponibile. Esonerandoci dall’esperienza diretta e mettendoci in rapporto non con gli eventi, ma con il loro allestimento, i mezzi di comunicazione non hanno alcun bisogno di falsificare o di oscurare la realtà, perché proprio ciò che informa codifica, e l’ef­fetto di codice diventa non solo criterio interpretativo della realtà, ma anche modello induttore dei nostri giudizi, che a loro volta generano comportamenti nel mondo reale conformi a quanto ap­preso dal modello induttore. In questa comunicazione tautologi­ca, dove chi ascolta sente le stesse cose che egli stesso potrebbe tranquillamente dire, e chi parla dice le stesse cose che potrebbe ascoltare da chiunque, in questo monologo collettivo l’esperien­za della comunicazione crolla, perché è abolita la differenza spe­cifica tra le esperienze personali del mondo che sono alla base di ogni bisogno comunicativo. Con il loro rincorrersi, infatti, le mil­le voci e le mille immagini che riempiono l’etere aboliscono pro­gressivamente le differenze che ancora esistono fra gli uomini e, perfezionando la loro omologazione, rendono superfluo se non impossibile parlare “in prima persona”. A questo punto i mezzi di comunicazione non appaiono più come semplici “mezzi” a di­sposizione dell’uomo perché, se intervengono sulla modalità di fare esperienza, modificano l’uomo indipendentemente dall’uso che questi ne fa e dagli scopi che si propone quando li impiega.

Ora, perdonatemi l’abbassamento di livello abissale…ma concludo rispolverando una riflessione personale, assai più frivola e ovvia, giusto perché non mi si dica che ho fatto fare tutto a Galimberti ;p

Nel futuro ognuno sarà famoso per quindici minuti, disse Andy Warhol.

Oggi potremmo specificare: Nel futuro ognuno sarà in tv (o su youtube, come vi pare), per quindici minuti. Che soddisfazione!! Bei tempi quelli in cui il tubo catodico era una conseguenza della celebrità e non l’unica causa, in cui i grandi personaggi avevano qualcosa da dire, in cui si osservava l’invito di B. Franklin “scrivi qualcosa degno di essere letto, o fai qualcosa degno di essere scritto”.

L’imperativo oggigiorno è piuttosto APPARI o peggio APPARI IN TV. la tv è bella, colorata, felice. La tv è un paese dei balocchi pieno di adulti-bambini che non si accorgono di essere diventati ciuchini. La tv è un girotondo vorticoso che diventa nauseante. La tv…siamo noi. E per quanto “televisiva” sia questa frase (se fosse uno slogan sarebbe un successo!) espone una inquietante verità… Ormai non possiamo farci niente. E’ finita. Issate la bandiera bianca. E’ il trionfo dell’invasione barbarica, e noi, decapitati delle nostre doti intellettive siamo trascinati inermi come la statua di Saddam Hussein dal baraccone mediatico…

La tv è piu vera del vero.La tv ci ha subdolamente inebetiti con il suo affascinante caleidoscopio, con un bombardamento di lustrini, seni, commoventi riconciliazioni in diretta più finte dei seni sopraccitati e grandi fratelli con famiglia al seguito…e approfittando del letargo intellettuale ha piantato le sue radici neri e sottili ovunque, svuotandoci della “superflua” esigenza di essere prima di apparire, di ogni spirito critico verso quel surrogato di realtà che essa ci propone, riducendo così nelle nostre menti atrofiche il confine tra rappresentazione mediatica della realtà e realtà stessa fino a renderlo inesistente. In effetti le parole finzione e realtà si sono tragicamente trasformate in fiction e reality show

Noi siamo la tv, la tv ci assorbe, ci compenetra, ci comanda.

La cara mamma rai si è laccata le unghie di rosso e ha abbandonato il vecchio motto “e dopo Carosello, tutti a nanna!!”: perché stupirci vedendo tredicenni-lolite più truccate delle loro madri atteggiarsi a vamp al ritmo della Dea Britney(vi prego ascoltatevi A Vita Bassa dei Baustelle)? Stanno solo facendo ciò che vedono fare in tv: vendono un prodotto così come è stato venduto loro, una sorta di ipse dixit: l’ha detto la tv…

Come dice Bauman “la tv è un criterio di autoaffermazione umana”. Sono apparso in tv, ergo sum?… potrebbe essere l’inizio di una nuova corrente filosofica, chi lo sa…(n.b: potrei dire anche ho un myspace ergo sum, o sono su youtube ergo sum, fa lo stesso)

E allora, figli del tubo catodico, cresciuti a suon di reality e talk show, unitevi!!! Colonizzate il mondo, riempitelo di cocuzza, tronisti di uomini e donne, letterine-veline-schedine e chi più ne ha più ne metta!!! Basta cultura, basta sfruttare le capacità intellettive, ci basta il pollice opponibile per cambiare i canali!!! Che scenario apocalittico…

Quando vedremo scendere i titoli di coda su questa fiera dell’ottusità?

Quando i bambini torneranno a voler fare da grandi l’astronauta o la ballerina (o per l’amor del cielo il ballerino e l’astronauta, per le pari opportunità…) e non il calciatore e la velina?

Quando ci renderemo veramente conto che abbiamo creato un mostro o – per citare Sartori –uno STRUMENTO ANTROPOGENICO che atrofizza le nostre capacità di capire proprio ora che il gioco si fa duro, che la realtà si complica??

Ma forse l’interrogativo più inquietante è questo: siamo sicuri che sia la tv che, sfuggita al nostro controllo sia divenuta il deus ex machina che impone un modello, e che essa non sia stata invece creata a nostra immagine e somiglianza?? Probabilmente sarebbe più semplice scoprire se è nato prima l’uovo o la gallina, e oltretutto entrambe le opzioni sono alquanto angoscianti…”cambio pacco”, mi verrebbe da dire…

C’è una speranza?? C’è qualcosa in grado di opporsi a quest’armata brancaleone di cerebrolesi proposti dalla tv? Forse Antonio Seurati è il profeta di questa nuova speranza: una civiltà del libro che accoglie l’eredità dell’umanesimo e punta ad un uomo mite, paziente e riflessivo, “capace di un corpo a corpo allo stesso tempo cortese e feroce con i media, una nuova specie di guerra civile”. Vive la résistance! E poi, se riusciamo a credere che Loredana Leccio sia una cantante e una ballerina, perché non dovremmo accarezzare la splendida utopia (utopia?) di una tv intelligente, lucida e pacata che non ha bisogno di alzare la voce per dare sostanza alle proprie tesi, che bada al contenuto oltre che alla forma?? Dopotutto anche tu che leggi qui e che mi hai sopportata fino a questo punto probabilmente ti preoccupi come la sottoscritta, a meno che tu non sia capitato per caso da queste parti dopo aver digitato “Loredana Lecciso” su google…

Aristotele un tempo ha detto “l’utopia è il modo in cui gli antichi chiamavano il progresso”, io l’ho sentito a Passaparola…mah? Voi cosa ne pensate? Siete ottimisti o dubbiosi o pessimisti? E ancora, vi vengono in mente esempi su come l’arte affronta questa emergenza? Io peraltro mi sono soffermata solo su uno degli orizzonti che ci apre Galimberti….Insomma, fatevi sotto!!


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